
Che cosa vuole il movimento per la decrescita
A Budapest la quinta conferenza internazionale per la decrescita: in agenda anche il reddito di cittadinanza.
Due anni fa in Svizzera si era quasi arrivati al referendum: fissare per legge un tetto massimo agli stipendi d’oro dei manager. Poi i Cantoni avevano detto no e l’iniziativa era stata bocciata. Ma il principio di equità tra lavoratori, di cui a Berna si erano fatti portavoce i giovani socialisti, è propugnato da anni dal movimento per la decrescita. Che pure è l’ispiratore di un altro argomento che ha trovato casa nel dibattito politico, italiano e internazionale: il reddito di cittadinanza.
“Quando parlavamo in Francia di decrescita e di reddito di base qualche anno fa, tutti ci dicevano che era una cosa da pazzi. Oggi è accettato ed è parte dei programmi di molti partiti. E questa per noi è già una vittoria politica”, spiega Vincent Liegey, portavoce del movimento francese per la decrescita e co-autore di un manifesto sull’argomento. Liegey è anche al timone del team che ha organizzato la quinta conferenza internazionale per la decrescita, che nei giorni scorsi ha riunito all’università Corvinus di Budapest 500 delegati e coinvolto migliaia di persone in una settimana di eventi per far sperimentare ai profani in cosa consista la decrescita.
“La decrescita non è soltanto una critica ragionata e ragionevole alle assurdità di un’economia fondata sulla crescita della produzione di merci, ma si caratterizza come un’alternativa radicale al suo sistema di valori. Nasce in ambito economico, lo stesso ambito in cui è stata arbitrariamente caricata di una connotazione positiva la parola crescita”, si legge sul sito dei circoli del Movimento italiano per la decrescita felice (Mdf). “La decrescita non è la riduzione quantitativa del prodotto interno lordo. Non è la recessione – proseguono gli animatori di Mdf -. La decrescita è il rifiuto razionale di ciò che non serve”. Secondo la definizione contenuta in un manifesto scritto nel 2013 da Federico Demaria, François Schneider, Filka Sekulova e Joan Martinez-Alier dell’università autonoma di Barcellona, la decrescita “chiama a una riduzione redistributiva e democraticamente guidata della produzione e dei consumi nelle nazioni industrializzate per raggiungere sostenibilità ambientale, giustizia sociale e benessere”. Decrescita, secondo il manifesto, è sia “la riduzione di energia e volumi materiali, che servono per affrontare i vincoli biofisici esistenti”, sia “un tentativo di sfidare l’onnipresenza di relazioni basate sul mercato nella società”, “rimpiazzandole con un’idea di abbondanza frugale”. Ed è, infine, “una chiamata a una democrazia più profonda” e “implica un’equa redistribuzione del benessere tra nord e sud del mondo, e tra generazioni presenti e future”.
Ma a dieci anni dall’esplosione di questa parola icona e delle idee che si porta dietro e al netto di cinque conferenze internazionali (la prima a Parigi nel 2008), Liegey ammette che “al momento non abbiamo esperienze politiche”. Qualche Stato in realtà ha adottato o promuove principi condivisi dal movimento. Come il Bhutan, che già nel 1972 ha fatto proprio il concetto di felicità interna lorda, che piace ai sostenitori della decrescita e che è approdato anche all’agenda delle Nazioni unite. O come l’Ecuador, che ha messo nero su bianco nella Costituzione il “buen vivir” o “sumak kawsay”, “una nuova forma di convivenza civile, in diversità e armonia con la natura”, che prevede “il diritto della popolazione a vivere in un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato”, ma anche quelli all’acqua, all’alimentazione, alla sicurezza sociale. “I servizi ambietali – si legge nella carta fondamentale di Quito – non saranno suscettibili di appropriazione”.
Liegey, tuttavia, spiega che il movimento per la decrescita non ha fretta: “Serve tempo e bisogna organizzare la società localmente, per evitare che nella fase di transizione possano emergere fenomeni violenti”. D’altronde, in dieci anni è cambiata l’economia stessa che il movimento per la decrescita mira a rivoluzionare. Basti pensare al boom della sharing economy, che sfruttando il canale della condivisione, ha in qualche modo invaso il campo di Liegey e compagni. “L’abbiamo già osservato con il commercio equo-solidale, con il cibo organico o con lo sviluppo sostenibile, che presto se ne appropria il sistema. Il caso della sharing economy è il più spettacolare – controbatte Liegey - La decrescita ha un approccio più radicale. Siamo stati abituati a voler viaggiare più lontano, più veloce, ad avere un televisore più grande, ma non necessariamente questo ci rende più felici”.
A Budapest, nei giorni della conferenza, il movimento ha mostrato un’applicazione pratica delle proprie attività: Cargonomia nasce come una cooperativa logistica, che offre soluzioni di trasporto merci in città con biciclette a tre ruote. Nella capitale magiara, nello specifico, Cargonomia consegna cassette di frutta e verdura prodotti da un’azienda agricola partner, Zsámboki Biokert. Nel tempo, però, il centro “low-tech” come si definisce sul sito, è diventato anche uno spazio condiviso per eventi e mostre. E per discutere di decrescita, che è uno dei principi che anima la cooperativa.
(Credits: wired.it)